La storia di don Antonio Maione in un libro-intervista a cura di Costanza D’Elia

05.03.2024

Antonio Maione è un prete che ha vissuto gran parte del suo ministero nei quartieri della Napoli popolare, la sua vicenda è un pezzo di storia della chiesa locale che però riflette in pieno le tensioni, le speranze e le contraddizioni sorte a partire dal Concilio Vaticano II. Costanza D'Elia - storica della cultura europea tra XIX e XX secolo, docente di Storia contemporanea all'Università di Cassino e direttrice della rivista internazionale di storia e critica dell'immagine "Visual history" – raccoglie una lunga intervista dalla voce di Antonio Maione intitolata "Poiché hai detto che sei stanco. La soffice violenza del potere. Intervista ad Antonio Maione" (Dante&Descartes, 111 pagine, 12 Euro) in cui viene ripercorsa la vicenda di una figura che ha sempre interpretato "genialmente la tensione al rinnovamento di quegli anni".

Don Antonio, dal Molise, giunse a Napoli nel 1967, pochissimi anni dopo la svolta epocale del Vaticano II. Nel capoluogo campano dovette fronteggiare situazioni-limite ma soprattutto l'ostracismo e i tentativi di censura della gerarchia causati dalle forme - ma molto più verosimilmente dalla sostanza - del suo ministero tra gli strati sociali subalterni della città. Il percorso di don Antonio Maione è sempre stato caratterizzato dalla vocazione al rinnovamento ecclesiale: «Sono stato un pioniere – racconta nel libro-; feci togliere anche la veste talare agli allievi. Il seminario tradizionale era una segregazione: li strappavi dalla vita per deformarli e poi riportarli nella vita; ma dovevano essere lievito nella massa, non degli isolati» (p. 20).

A Napoli, tra le varie esperienze, don Antonio organizza in modo spontaneo il catechismo serale all'aperto per i giovani del Rione Traiano, un quartiere popolare all'epoca abbandonato a se stesso. I ragazzi del rione lo aspettavano in strada, «si bloccava il traffico perché erano tanti, poi si unirono pure gli adulti […]. In un secondo momento mi offrirono un sottoscala, dove ci si poteva almeno sedere per terra» (p. 23). Dopo un primo periodo di nomadismo tra varie realtà marginali e complesse della curia napoletana, don Antonio approda nel centro antico della città nel corso del 1968. In quegli anni fu tra i pochi a costruire un dialogo con il movimento di contestazione prendendo parte, non di rado, anche alle assemblee studentesche. Il suo sguardo aperto sul mondo, il suo modo di intendere la chiesa e il suo personale apostolato ben presto però gli causarono anche i primi problemi. È in tale intreccio ecclesiale e sociale che la figura di don Antonio diviene scomoda e, dai tentativi striscianti di censura, si passa a una vera e propria campagna inquisitoria a cui il sacerdote ha sempre risposto con la sua carica vitale, con ironia tagliente e intelligenza, anche quando - nel 1972 – la Curia napoletana gli inviò una lettera che lo "liberava" dagli incarichi parrocchiali. Antonio Maione però ha continuato a essere se stesso, a essere prete, a esercitare il suo ministero nonostante l'isolamento, le difficoltà, le censure e le persecuzioni di quelli che nel libro vengono definiti i nuovi inquisitori.

Come sottolinea Costanza D'Elia nella densa introduzione intitolata "Per non perdere la storia", «Di tutte le condanne ingiuste, quelle che impongono il silenzio sono le peggiori» (p. 7). La bella intervista a don Antonio Maione rappresenta proprio l'esigenza di ridare voce a una figura a cui molte volte è stato ordinato il silenzio. In appendice sono pubblicati alcuni documenti e articoli dedicati ad Antonio Maione, tra questi appare opportuno segnalare un breve scritto di Giovanni Franzoni pubblicato su "Team" nel 1990. Franzoni, padre conciliare, ex abate di San Paolo fuori le Mura e figura carismatica del cattolicesimo di base post-conciliare, ricollega la vicenda di Maione a quelle delle comunità di fedeli che dal '68 in poi si sono assunte la responsabilità di vivere da "cattolici maturi" nello spirito del Vaticano II. "Poiché hai detto che sei stanco" rappresenta la necessità e il desiderio di non disperdere la storia di Antonio Maione, una vicenda che resta attuale perché ancora attuali sono le contraddizioni che si dischiudono nel campo di tensione tra conservazione e cambiamento.

Massimiliano Palmesano