"Rapporti di forza": storia, retorica e prova in un libro di Carlo Ginzburg
Carlo Ginzburg da anni ha abituato i suoi tanti lettori a interessanti ricerche storiografiche, ma pure a stimolanti riflessioni di carattere metodologico e culturale. È il caso della nuova edizione di "Rapporti di forza – Storia, retorica, prova" (Quodlibet, 172 pagine, 18 euro) in cui Ginzburg offre una analisi sul divario tra riflessione metodologica e pratica storiografica, dando voce al punto di vista di chi lavora a contatto con i documenti, nel senso più ampio che può essere dato al termine. I casi che attraversano i diversi capitoli hanno come soluzione il trasferire nel vivo della ricerca le tensioni tra narrazione (retorica) e documentazione (prova). Una discussione sul metodo storico che non riguarda esclusivamente gli addetti ai lavori.
A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, gli scettici postmoderni hanno sostenuto che è impossibile poter distinguere in maniera rigorosa tra verità e finzione, perché non di rado la storia s'identifica con la retorica ovvero con forme narrative organizzate in funzione politica e non esclusivamente conoscitiva. Ginzburg dimostra come tale scetticismo postmoderno sia ispirato dallo scritto giovanile di Friedrich Nietzsche sulla verità e la menzogna, pubblicato postumo, in cui la retorica veniva, in funzione anti-aristotelica, vigorosamente contrapposta alle prove. Ginzburg fa riferimento al concetto di relativismo scettico in due diverse accezioni, una mite e una feroce, che hanno però una radice intellettuale comune: un'idea di retorica non solo estranea ma addirittura contrapposta alla prova.
Nella tradizione fondata da Aristotele (Cap. 1 "Ancora su Aristotele e la storia") e trasmessa attraverso Quintiliano a Lorenzo Valla, il collegamento tra retorica e prove è invece centrale. E la dimostrazione della falsità della "donazione di Costantino" (Cap. 2) da parte di Lorenzo Valla rappresenta, in un presente imperniato sulle fake news, un punto di riferimento più che mai attuale.
Ma il mestiere di storico non finisce qui e i saggi di Ginzburg accendono i riflettori su angolazioni spesso non considerate. La riflessione sulla distinzione tra le due diverse, possibili forme di retorica, è il pretesto per una lettura inattesa delle opere d'immaginazione. Un aspetto che probabilmente è tra i contributi più interessanti dati da Carlo Ginzburg al metodo storiografico negli ultimi cinquant'anni. La costruzione della ricerca viene effettuata attraverso testimonianze molto diverse tra loro: la violenta denuncia del colonialismo europeo da parte del leader locale, inserita nell'opera di un gesuita francese del Settecento (Cap. 3, "Le voci dell'altro. Una rivolta indigena nelle Isole Marianne"); il bellissimo saggio sullo spazio bianco contenuto ne "L'educazione sentimentale", in cui Proust decifra il culmine dell'intera opera di Flaubert (Cap. 4); il tortuoso itinerario che condusse verso le "Demoiselles d'Avignon" (Cap. 5, "Oltre l'esotismo: Picasso e Warburg"). Scritti da cui emerge una rete di rapporti di forza nell'esperienza di una lettura a distanza che riporta al presente.
Massimiliano Palmesano