Un libro di Pietro Meloni indaga il rapporto tra cultura visiva e antropologia
Con il nome di antropologia visiva oggi si designa un campo disciplinare molto vasto in cui convivono l'antropologia visuale propriamente detta e gli studi su comunicazione, design, espressioni artistiche, estetica, digitale, media e social media. Una galassia di modalità diverse di produzione e riproduzione delle immagini che - nell'epoca della cultura visiva in cui viviamo - mette gli antropologi davanti a interrogativi di tipo conoscitivo e interpretativo. Pietro Meloni, professore di antropologia culturale all'Università degli studi di Perugia, nel libro "Cultura visiva e antropologia" (Carocci, 211 pagine, 22 Euro) presenta alcune ricerche strettamente connesse al rapporto con le immagini e realizzate sulla base di traiettorie specifiche dell'antropologia visiva contemporanea.
L'antropologia quale scienza della complessità studia le differenze culturali e i meccanismi che danno vita a quello che indichiamo come senso comune, entrambi fattori che soprattutto negli ultimi decenni si sono sviluppati anche attraverso le immagini. Le ricerche che compongono il libro aiutano nella comprensione dei significati culturali e delle modalità di costruzione dell'alterità presenti nel complesso flusso di immagini che ci avvolge quotidianamente. Immagini che consentono agli esseri umani di descrivere e di pensare il mondo, ma che rappresentano soprattutto un canale per agire nel mondo, per modificarlo o influenzarlo.
Il libro è caratterizzato da un approccio antropologico che abbraccia i territori dell'etnografia, della comparazione, dell'interazione simbolica e delle analisi delle pratiche ed è diviso in cinque sezioni. Nel primo capitolo, "La svolta visiva", vengono presentate le tappe fondamentali della storiografia dell'antropologia visiva a partire dalle prime sperimentazioni fotografiche di pionieri quali Alfred Cort Haddon, Columbus, Bronislaw Malinowski e dai primi filmati etnografici; fino alle tendenze più recenti in campo della ricerca: i pictorialmedia e la comunicazione visiva. Nel secondo capitolo, "La macchina da presa, la fotocamera, il taccuino", sono approfonditi temi di carattere più tecnico: l'antropologia è una disciplina che si fonda in maniera preponderante sulla conoscenza etnografica, anche se lo statuto di quest'ultima disciplina oggi è tema dibattuto e al centro di diverse interpretazioni. Ma il mestiere dell'etnografo è quello di estrarre dati dal campo di studio e per farlo ha a disposizione una serie di strumenti che – come per la disciplina – hanno una propria specifica storia sia dal punto di vista tecnico sia da quello operativo. La macchina fotografica è stata senza ombra di dubbio uno degli strumenti principali al servizio dell'antropologia, basti pensare - solo guardando all'Italia - a figure come Paolo Mantegazza o in che modo Franco Pinna e Ando Gilardi presero parte alle spedizioni nel meridione di Ernesto de Martino. Oggi, oltre alle macchine fotografiche e alle cineprese, la tecnologia sta sviluppando strumenti sempre più complessi che forniscono la possibilità di produrre, riprodurre e condividere immagini, aprendo agli studiosi opzioni enormi.
Il terzo capitolo,"Antropologia visiva applicata al patrimonio culturale", esplora i temi della multimodalità, degli ipermedia, della cartografia e degli allestimenti. Chiudono il libro due capitoli dedicati ad aspetti di carattere sociologico: il quarto, "Osservatori osservati", invita a una riflessione sul museo quale campo di indagine e sulle "immagini viventi"; il quinto, "Simulacri", tra antropometrie, orientalismo e cartoline dal carcere di Abu Ghraib.
Massimiliano Palmesano